venerdì 31 luglio 2015

Visita nella Gerusalemme blindata: morto un bimbo a nablus tra le fiamme dei coloni

Oggi Geruslemme era blindata. 

Posti di blocco anche fuori dalla porta di Damasco, e dentro tutta la città vecchia. 

Ovunque soldati e polizia a marcare la geografia dell'aparheid, a reprimere e contenere ogni possibile forma di dissenso o ribellione, dopo l'attacco alla spianata delle moschee che esercito israeliano e coloni hanno fatto lo scorso sabato, dopo che oggi, ancora i coloni, hanno lanciato molotov in una casa fuori Nablus, bruciando vivo un bambino di 18 mesi e ustionando gravemente il resto della sua famiglia. 

E a poco valgono le parole vuote, le lacrime di coccodrillo di Mogherini &Co, che chiedono a Israele di contenere i coloni: quello stesso Israele che solo la settimana scorsa ha legittimato a posteriori la costruzione di insediamenti che, per qualsiasi tribunale internazionale, risultano invece essere illegali. 

A un anno da Protective Edge la violenza quotidiana dell'occupazione ci riporta ancora le immagini di corpi carbonizzati, ancora una volta di bambini. Mentre al di qua del muro, nonostante tutto, si continua a resistere.

- 3: la raccolta dei materiali


Mancano tre giorni all'inizio del Summer Camp 2015 e siamo ormai quasi tutti arrivati al Phoenix Center, il principale luogo di ritrovo, socialità e organizzazione all'interno del campo profughi di Deisha.

Con l'aiuto dell'educatrice palestinese che seguirà tutte le attività dei prossimi giorni e di uno dei responsabili del centro abbiamo finito di raccogliere tutti i materiali che ci serviranno per i laboratori del summer camp.

Abbiamo la plastica e il cartone da riciclare, le tempere e i pastelli per colorare, i fogli e le corde per costruire assieme la nostra città ideale, i palloncini e le maschere per recitare e raccontarci le nostre vite per conoscerci meglio con gli oltre 80 bambini di Deisha, Betlemme e Gaza con cui trascorreremo le prossime settimane.

Ah già! Abbiamo pure le magliette!

Qui è quasi tutto pronto...stay tuned!




mercoledì 29 luglio 2015

L'arrivo a Betlemme: Welcome to Palestine



Atterriamo a Tel Aviv, con un Taxi collettivo arriviamo a Gerusalemme. Attraversiamo il quartiereort odosso fino a Damascus Gate, dove prendiamo il 234 fino a Betlemme.
In realtà non proprio fino a Betlemme: il pullman deve necessariamente fermarsi alla "porta" di ingresso della città che si trova nei territori occupati: siamo al CHECK POINT sotto il controllo dell'esercito Israeliano e questo è l'unico modo per entrare e uscire dalla zona...per noi oggi, per migliaia e migliaia di persone tutti i giorni, e mentre per noi ottenere un visto non è stato poi tanto complicato, per chi vive a Betlemme è quasi impossibile.
Proseguiamo con gli altri sul pullman assieme a noi, costeggiamo a piedi il muro dal lato Palestinese, finalmente siamo a Betlemme.

domenica 26 luglio 2015

Attacco israeliano alla moschea di Gerusalmme

La polizia israeliana questa mattina è entrata nella moschea di al-Aqsa a Gerusalemme. Il pretesto era quello di fare solo "pochi metri" per sgomberare un mucchio di petardi. Parecchi giovani palestinesi hanno resistito al lancio di numerosi gas lacrimogeni all'interno della moschea mentre la polizia ha bloccato l'accesso all'edificio. 

da  Maan, Quds Press e Pic:

- Il direttore del complesso di al-Aqsa, Omar Kiswani, ha riferito che 19 guardiani del dipartimento dei Beni islamici sono stati feriti dopo essere stati aggrediti dalle forze israeliane con bastoni, proiettili di metallo rivestiti di gomma e lacrimogeni.



 
- Kiswani ha dichiarato che 70 coloni israeliani hanno invaso al-Aqsa nel pomeriggio, entrando dalla Porta dei Maghrebini, accompagnati da 100-150 poliziotti israeliani.
- Durante l’assalto gli israeliani hanno bruciato tappeti e rotto muri, porte e distrutto alcuni interni.
- Cinque Palestinesi sono stati arrestati.


 foto da Agenzia stampa Infopal - www.infopal.it


 








sabato 25 luglio 2015

Amal, pedagogia indisciplinata contro guerra e discriminazione: i progetti

"Amal" è un esperimento pedagogico, contro ogni guerra e forma di discriminazione, che dura ormai da più di dieci anni. Nato dalla volontà di costruire uno spazio per i bambini palestinesi dove i muri fosse possibile abbatterli, dove ci fosse la possibilità di superare barriere sociali, culturali e religiose e costruire invece un'avventura che parli di solidarietà, di gioco e di futuro, in questi anni questo spazio si è dato ed è cresciuto: al centro per bambine e bambini della città e dei campi profughi di Betlemme si sono affiancati nuovi progetti e nuove scommesse, in Palestina così come in Italia. 


Negli anni si sono infatti susseguiti scambi con le/i bambine/i del centro e quelle/i delle scuole elementari di Milano, prima attraverso scambi di storie e disegni, poi attraverso il progetto "semi di pace". 


E sarà proprio da quest'ultimo che si svilupperà poi, a partire dal 2010, il "Progetto ulivi", una sperimentazione in atto ancora oggi e che vede i bambine/i e ragazze/i del centro di Amal a Betlemme prendersi cura di un campo dove hanno piantato ulivi e altri alberi da frutto, con il supporto dei contadini locali: un territorio altrimenti abbandonato per la sua troppa prossimità al muro ed alle colonie (a ridosso delle quali Israele non permette alcuna costruzione e spesso minaccia anche le coltivazioni con le troppe conosciute incursioni dei buldozer) e che invece, grazie a questo progetto, continua a produrre narrazioni, affezione alla terra e forse anche qualche seme di speranza.

Ancora, Amal promuove progetti nelle scuole superiori della città per raccontare la Palestina, che non è un "lontano teatro di guerra", ma anzi il paradigma estremo di negazioni di diritti, discriminazioni, intolleranze che vediamo avvenire ogni giorno anche intorno a noi, sebbene su altre scale. Nelle scuole si parla infatti di diritto all'acqua e al territorio, di apartheid, di razzismo... temi che sono parte del nostro quotidiano e che ci aiutano a tessere un filo rosso, ad abbattere in primis il muro dell'indifferenza.


Amal è quindi un esperimento di educazione indisciplinata, in Italia e in Palestina, dove bambini e ragazzi di diverso credo e stato sociale si incontrano e confrontano, imparando ad abbattere ogni giorno i muri del pregiudizio e dell'intolleranza, a coltivare e prendersi cura della terra e degli altri, a lottare per un futuro di pace.

Amal, bambini per la pace Onlus: chi siamo



Chi siamo 

www.associazioneamal.org

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Nasce il 27 marzo 2003 dopo le esperienze personali di alcuni di noi, che hanno toccato con mano il disagio socio-educativo dei bambini nei Territori palestinesi. Nasce con un nome di persona, Amal, che in arabo significa speranza.
I bambini palestinesi devono quotidianamente fare i conti con un’occupazione militare che, spezzando la continuità territoriale, rende difficoltosi gli spostamenti. Andare a scuola, far visita ad un amico o ad un parente, possono diventare viaggi interminabili e a volte impossibili.
Le conseguenze sul piano educativo sono molteplici: perdita di capacità di apprendimento difficilmente recuperabile, limitazione delle prospettive per il futuro di più generazioni, riduzione delle possibilità di espressione e socializzazione.
Inoltre, il clima di rabbia e sconforto che si respira presso gli adulti viene assorbito immediatamente dalle giovani generazioni, che rimangono così intrappolate in un circolo vizioso di privazione e umiliazione che compromette una crescita equilibrata.
Bambini che disegnano ripetutamente carri armati e soldati. Bambini
dal sonno interrotto dalle frequenti incursioni dei militari israeliani. Bambini costretti ad assistere all’umiliazione dei propri genitori.
Bambini segregati da sempre nella propria città, circondata da un muro, un altissimo muro di cemento superabile soltanto con la loro immaginazione.
E’ possibile abbattere il muro? Noi ci proviamo!
Abbiamo cominciato abbattendo il muro dell’indifferenza, della diversità e della paura.

Abbiamo intrecciato relazioni stabili con i bambini palestinesi e le loro famiglie perché siamo convinti che questo sia l’inizio di un cambiamento di prospettiva, che uno sguardo più fiducioso rivolto al futuro possa rappresentare un concreto segno di speranza per questo popolo, e per quello israeliano.
Per questo ai soci è proposto un coinvolgimento attivo: attraverso la formazione personale sulle tematiche relative al conflitto, il confronto e la collaborazione nei progetti associativi e magari attraverso un’esperienza di volontariato e di contatto diretto con la realtà palestinese.

Vogliamo portare una speranza… al di là del muro!